James Foley: An american tale

Questo 2025 ci ha portato via anche James Foley, figura di spicco nel panorama cinematografico statunitense a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. Un cineasta dallo stile spiccio ed essenziale, in grado di lavorare all’interno dei cliché con robusto mestiere e specialmente di intercettare lo spirito degli anni Ottanta.

Foley non potrà mai essere considerato un autore, perché il suo cinema è sempre stato al servizio del consumo popolare e delle mode, senza la minima velleità autoriale ma spesso con grande senso dello spettacolo e della gestione del racconto.

Tutta la prima parte della sua carriera costituisce un grande racconto americano, uno sguardo d’insieme su un paese, sui suoi compromessi, i suoi abissi oscuri, le sue fragilità e la sua estetica commerciale.

Già con l’esordio Amare con rabbia del 1984, Foley mette in scena un confronto/scontro fra classi sociali, attraverso la tumultuosa love story tra un giovane disadattato (Aidan Quinn) e una cheerleader dell’alta borghesia (Daryl Hannah). Opera che insieme a The Loveless di Kathryn Bigelow e Monty Montgomery e a All’ultimo respiro di Jim McBride, ha contribuito alla fondazione del neo-ribellismo cinematografico americano degli anni Ottanta.

Al servizio di Madonna e dell’estetica video-pop

La ballata Live to Tell (facente parte di True blue, terzo album della cantante) funziona da ponte che mette in collegamento gli esordi cinematografici di Foley con la sua successiva fase pop, venendo inserita come soundtrack del suo secondo grandioso lungometraggio A distanza ravvicinata (sicuramente il suo miglior film), un crime-drama interpretato da Christopher Walken e Sean Penn (all’epoca compagno di Madonna). Da questa fusione ne nacque un videoclip, in cui è già rinvenibile l’abilità di Foley nel far risaltare le qualità fotogeniche e cinetiche della pop star.

Ma con Papa Don’t Preach avviene la vera rivoluzione, Madonna abbandona il trucco sofisticato e i gioielli e adotta un look da gamine con capelli corti e ossigenati, cantando di gravidanza adolescenziale e di aborto, creando non poche polemiche.

Gli anni Novanta: Reinventarsi nei generi

In questo pugno di film imperfetti e talvolta salvati solamente dall’abilità registica di Foley, si staglia Americani, forse il migliore della decade, tratto dalla pièce Glengarry Glen Ross di David Mamet con un cast stellare che va da Jack Lemmon ad Alan Arkin passando per Al Pacino. Parabola amarissima sullo spietato e corrotto mondo del lavoro in cui non si salva niente e nessuno. Con Paura invece Foley torna alla lotta di classe, attraverso la storia di una ingenua e agiata teenager (Reese Witherspoon) che si innamora di un giovane psicopatico (Mark Wahlberg). Un dramma famigliare un po’ stereotipico, che nella seconda parte si trasforma in un thriller teso, in altalena tra efferatezza e autoparodia.

Gli anni Duemila: In piena involuzione

Papa Don't Preach

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