Sono passati ben ventidue anni da quando Lars Von Trier ha realizzato Dogville, opera torbida e controversa che racconta la grettezza e l’ipocrisia della provincia americana. Ora il film torna in sala a partire da domani, 2 giugno, per soli tre giorni.
Il film di Trier sarà presentato nella versione restaurata in 4K, insieme ad altre due opere del regista danese. Dancer in the Dark (dal 9 all’11 giugno) e Le onde del destino (dal 23 al 25 giugno). Un mese dedicato a tre grandi opere trieriane, ognuna a modo suo impregnata degli umori tipici del suo autore. Tre drammi stranianti e perturbanti, ammantati di una cinefilia coltissima e raffinata e studiati seguendo solamente in parte le coordinate sperimentali del suo manifesto cinematografico Dogma 95. Manifesto estetico, fondato insieme al collega Thomas Vinterberg.

Un dittico sul cuore di tenebra americano
Dogville costituisce il primo tassello di un dittico che Trier ha dedicato al cuore oscuro dell’America di provincia, intitolandolo, con la sua proverbiale ironia provocatoria, Terra delle opportunità.
Dopo aver sezionato l’Europa e i suoi cancri sociali, con la trilogia composta da L’elemento del crimine, Epidemic ed Europa, Trier volge lo sguardo verso la grettezza e l’ipocrisia americana, applicandovi una mescolanza di toni inquietanti e squarci di ironia raggelante. Protagonista Nicole Kidman nel ruolo di Grace, una misteriosa ragazza in fuga dal proprio passato che si ritrova nella cittadina di Dogville, presso la quale viene ospitata e col tempo riesce ad integrarsi come fosse un’autoctona. Ma la sua innata carità cristiana e senso del perdono, le faranno presto conoscere il volto più orribile e crudele degli abitanti del paese.
Il film è stato presentato al 56° Festival di Cannes e come tutte le opere di Trier ha diviso pubblico e critica. Questa sua allegoria sulla società statunitense è stata accolta da un lato con ovazioni per la sua potenza innovativa, sul piano espressivo e narrativo, mentre dall’altro è stata persino tacciata di misantropia.
Nel 2005, esce la seconda e ultima parte del dittico intitolata Manderlay, che riprende stile e tematiche del film precedente, proponendo un proseguo delle avventure di Grace posta in un altro contesto. Ma la protagonista, questa volta, ha il volto di Bryce Dallas Howard.
Anatomia di una messa in scena
Trier concepisce lo spazio di azione del suo film come un enorme plastico, creando una costruzione scenica fortemente spiazzante e innovativa. Mescolando teatro e cinema, abbandona totalmente il realismo perseguito attraverso il suo Dogma 95.
Il set è costruito in interni, creando una riproduzione della cittadina narrata, in cui parte della scenografia risulta astratta e costituita da linee bianche disegnate sul pavimento, le quali delimitano case, strade e negozi. Gli interpreti mimano l’apertura di porte invisibili, ma utilizzano mobili, oggetti e automobili reali.
Una voce off commenta le vicende quotidiane, che vengono schematicamente enumerate in una serie di capitoli, un autentico pallino di Trier che ripeterà diverse volte. Gli attori sono chiamati a recitare in maniera fredda e anti-emozionale, aumentando il senso di spaesamento e disagio nel fruitore.
Un labirinto di simboli e interpretazioni
Dogville pare evocare il grande romanzo americano alla Mark Twain, opportunamente ibridato con la tragedia greca e con il simbolismo biblico. Ma il suo autore gioca a tradire i modelli evocati facendone una cupa parodia, attraverso una costruzione narrativa e tecnico-espressiva estremizzata. In una fredda illuminazione attraversata da squarci rosso-brunastri, si muovono i personaggi come simboli svuotati di qualsiasi realismo. Si va così a creare una contrapposizione netta fra Grace, che incarna la carità cristiana, e gli abitanti di Dogville che rappresentano la miseria umana. Sul finale entra in scena il padre gangster della protagonista, perfetta simbolizzazione del giustizialismo amorale. Grace a causa del suo estremo candore, diventa il capro espiatorio su cui i cittadini sfogano le proprie repressioni e frustrazioni. L’opera simbolista di Trier, presenta anche diverse chiavi di lettura testuale: sociopolitica, antropologica, psicanalitica e pedagogica.
Dogville è un film assai complesso e stratificato, dagli accenti fortemente provocatori, marchio distintivo di tutta l’opera del geniale maestro danese.
