The Ugly Stepsister rappresenta un esordio unico e radicale, per quanto concerne il panorama horror contemporaneo. La giovane regista norvegese Emilie Blichfeldt esordisce con questa rivisitazione slasher e disgusting della nota fiaba dei Grimm Cenerentola, creando non poco rumore a livello mediatico.
L’opera prima di Blichfeldt è stata presentata in anteprima al Sundance Film Festival 2025 e successivamente nella sezione Panorama del 75° Festival Internazionale del Cinema di Berlino dello stesso anno.
Shutter, servizio statunitense di video on demand, ha acquisito i diritti di distribuzione. Il film è uscito nei cinema norvegesi e nelle sale statunitensi.
Le reazioni di gran parte del pubblico che lo ha visto, sono state di forte repulsione, pare che molti spettatori abbiano addirittura vomitato nei corridoi dei cinema.
Ovviamente questo è il solito polverone mediatico da alzare attorno al nuovo prodotto horror su cui discutere prontamente (funziona così dai tempi del L’esorcista di Friedkin fino ad oggi con Terrifier).
Ma al di là di questi cancan da manuale, il film appare decisamente anomalo e interessante, nel tentativo di ridare nuova linfa al body horror, come il recente The Substance, con il quale ha in comune diversi elementi narrativi e di contenuto.
The Ugly Stepsister è disponibile in streaming su Apple TV+ e Prime Video. È possibile anche acquistarlo o noleggiarlo su Amazon Video. Inoltre, è possibile trovarlo su MUBI.

Dalla Scandinavia con orrore
Negli ultimi anni è possibile notare all’interno del panorama horror internazionale, una grande fertilità per quanto concerne la cinematografia scandinava. Produzione in grado di mescolare dramma sociale e violenza grafica, una violenza mai dai toni visivamente esasperati, ma spesso raffreddata in un cinismo cupo e disturbante. A volte inserendovi persino dosi di humor surreale.
Nel 2008 era stato un autentico caso cinematografico lo svedese Lasciami entrare, di Tomas Alfredson,rilettura drammatica e malinconica del mito vampiresco. Mentre in tempi più recenti autori come lo svedese Johannes Nyholm e il danese Christian Tafdrup, hanno dissezionato impietosamente le relazioni familiari. Koko-di Koko-da di Nyholm è un rompicapo surreale venato di umorismo nerissimo, mentre Speak No Evil di Tafdrup un dramma sociale che sconfina nella cruda e disperata allegoria biblica.
Ora è il momento di Emilie Blichfeldt e della sua Cinderella condita con sangue e vermi. Un’operazione che in superficie potrebbe suonare come una tautologia new body horror, per ribadire il concetto di rinnovamento linguistico del genere. In realtà è un laboratorio di sperimentazioni visive, estetiche e narrative da non sottovalutare troppo.
Perfection is obsession
E’ inutile dirlo, lo sanno pure i sassi che il cinema (specie quello statunitense) a partire dagli anni Ottanta (decade della vacuità e ora invece?), ha iniziato a decostruire sarcasticamente l’ossessione per la perfezione estetica del corpo. Sono gli anni degli hard bodies movies (da Rambo et similia) e del culto per il corpo tonico e palestrato. In Skin Deep di Blake Edwards, John Ritter si porta a letto una culturista, mentre il discorso prosegue negli anni Novanta con toni sempre più grotteschi. La morte ti fa bella di Robert Zemeckis e in tono minore She-Devil di Susan Seidelman, stravolgono il mito della bellezza femminile con toni macabro-surreali. Ma non dimentichiamo Society di Brian Yuzna (uscito nel 1989), orgia grandguignolesca che critica aspramente la perfezione estetica della classe borghese. Da qui in poi il body horror non sarà più lo stesso.
Ed ecco nel 2024 Coralie Fargeat con The Substance, che torna ai fasti estetici degli anni Ottanta per lacerarli impietosamente e parlarci dell’oggi e ora sulla stessa linea si pone Emilie Blichfeldt. The Ugly Stepsister rilegge una delle fiabe più note e amate, Cenerentola, per esacerbare il discorso sulla disparità tra classi sociali e l’ossessione dell’apparire in società.
Nel film scritto e diretto da Blichfeldt, il linguaggio estetico pare preso in prestito da una fiaba televisiva anni Ottanta (vi ricordate quelle presentate e prodotte da Shelley Duval?). Fotografia patinata, luci desaturate e paccottiglia estetica. La scelta pare quella di voler irridere fin dalla fotografia e dal décor, l’incanto posticcio e imbalsamato di certi prodotti vintage dedicati all’infanzia. In The Ugly Stepsister
la derisione della perfezione estetica appare sintomatica fin dalla sua confezione, per poi deturpare, riplasmare e infine scomporre il volto e il corpo della protagonista Elvira, sorellastra goffa della bionda Rebekka.
Il body horror per Blichfeldt è principalmente una questione di ricerca ottica, in una spirale di rimandi estetici che attraversa principalmente il cinema di Walerian Borowczyk, Sofia Coppola e Peter Weir, si nota un’attenzione maniacale per i dettagli.
L’occhio-cinema disvela la struttura morfologica di larve brulicanti e di un piede mozzato, portando a galla il torbido che ribolle alle radici delle autentiche fiabe. Nel testo dei Grimm, le sorellastre pur di infilare il piede nella scarpetta si amputano dita e talloni. In tutto questo Blichfeldt pare dare un tono mai enfatico, ma quasi dimesso e sotterraneamente ironico, con picchi di dolore cristologico, quasi a voler sottolineare il famoso adagio: Il male è nell’occhio di chi guarda.
Triste, solitario y final
L’excipit di The Ugly Stepsister non appare poi così distante da quello di The Substance. In ambedue le opere, le protagoniste si ritrovano sole e ridotte fisiologicamente a freaks ributtanti, trasmettendo una profonda tristezza e senso di pietas nello spettatore. Due figure femminili che hanno fatto di tutto pur di piacersi e piacere alla società, ricorrendo alla decomposizione e ricomposizione delle proprie parti anatomiche nel film di Blichfeldt e ridefinendo la propria struttura molecolare in quello di Fargeat.
La sorellastra Elvira se ne va a cavallo come una reietta, verso un futuro disperatamente triste, mentre la protagonista di The Substance, ridotta ad un ammasso di carne, finisce sulla stella hollywoodiana con il proprio nome, ma presto verrà lavata via e dimenticata da tutti. Se Fargeat, dopo il patetico finale, aggiunge un codino dichiaratamente ironico, Blichfeldt decide di chiudere con un’amarezza senza alcun risarcimento ironico, allontanando dall’occhio, dallo sguardo-cinema e dallo sguardo sociale Elivra. Un patetico fagotto di stracci su cui si può solamente versare lacrime.
