Occhiali neri è ad oggi l’ultimo lavoro cinematografico di Dario Argento, uscito tre anni fa in sala con un debole riscontro di pubblico e critica.
Ora è possibile recuperare il film su RaiPlay e riscoprire che si tratta di un’opera profondamente argentiana, come non se vedevano da lustri.
Il maestro del thriller all’italiana, riesce finalmente a recuperare stilemi e suggestioni di un tempo e a integrarle nella contemporaneità cinematografica.
Un’operazione che fa i conti un genere ormai pressoché estinto all’interno delle nostre pratiche cinematografiche, ponendosi come eco lontana di un modus operandi che si chiama(va) orgogliosamente cinema di genere.

Occhiali neri: Lo sguardo (velato) del thriller argentiano
Un’eclissi solare apre l’ultimo film di Dario Argento (uscito in sala nel 2022), movimento che occulta e per un attimo impedisce una normale visibilità.
Lo sguardo è uno dei rovelli argentiani, sia quello in soggettiva di chi guarda/spia (quasi sempre coincidente con l’assassino), che quello di chi cerca di guardare e far luce su di un’entità misteriosa che gli si palesa davanti.
Occhiali neri, fin dal titolo, denuncia questa velatura sullo sguardo, sorta di oscuramento che obbliga a guardarsi dentro per trovare una risposta ai misteri che stanno al di fuori.
Diana (Ilenia Pastorelli) è il tipico esempio di eroina da fiaba nera pronta a combattere in piena cecità l’oscurità del male, una tradizione che Dario ha inaugurato con Suspiria e ha portato avanti compiutamente fino a Opera.
Inutile accanirsi sulla pretestuosità dell’intreccio, sulla narrazione abborracciata e sui dialoghi tirati via, perché il maestro del thriller italiano ha sempre preferito una precisa grammatica dello sguardo alla sintassi del racconto.
L’estetica in questione tende a rileggere in chiave terminale il gore degli omicidi, non più artificio compositivo e pittorico di corpi messi a morte, ma ultima pulsione organico-artigianale. Nessuna pulizia formale nella mise en scène sanguinolenta, la morte si consuma nell’ombra perché il buio (che tutto inghiotte) è il male assoluto in quest’opera epigrafica.
Se è più che necessario sottolineare il procedere lacunoso del cineasta romano nei suoi ultimi vent’anni di carriera (da Trauma a Dracula 3D), è altrettanto doveroso far emergere la sincerità di sguardo che abita questo suo ultimo lavoro. Sincerità che guarda al lato più sentimentale (non sentimentalista) del suo cinema, giocando affettivamente con stilemi e topoi.
Slittamenti di genere
Fin dagli esordi Argento lavorava di slittamenti progressivi di genere, L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code sono gialli deduttivi che tendono alla trasfigurazione più scopertamente thrilling, mentre 4 mosche di velluto grigio e Profondo rosso sono dei thriller psicologici sprofondanti negli abissi del racconto horror. Quindi proseguendo per slittamenti, Suspiria, Inferno, Phenomena e Opera, segnano il passaggio dal racconto d’orrore alla fiaba nera.
Occhiali neri segna la chiusura completa del cerchio, iniziando come giallo/thriller, proseguendo come horror e diventando una fiaba nera ma con al centro il coté sentimentale, che nasce proprio dall’incontro fra Diana e il piccolo Chin, facendone così un racconto di trasformazione (per la prima) e di formazione (per il secondo). Racconto che conduce a un epilogo in aeroporto tra i più struggenti dell’ultima produzione argentiana.
Inoltre è bene non dimenticare che vi è anche una sotterranea vena ironica atta a sbugiardare l’ontologia del male. Dietro alle ombre, al buio e alla notte, il male può avere la prosaicità e la trivialità dell’individuo qualunque e quello che spaventa è appunto l’impossibilità di uno sguardo certo e definitivo sulla realtà delle cose.
Tutti i colori del thriller
Dark glasses non è solamente un incubo ironico-sentimentale fatto di ombre, ma pone anche un’attenzione particolare all’uso dei cromatismi, come del resto Argento ha quasi sempre fatto.
Nella sequenza di apertura spicca il rosso delle labbra e della camicetta di Ilenia Pastorelli, che nella sequenza finale in aeroporto appare invece biancovestita.
Il rosso dell’eros, della passione e del sangue lascia il posto al bianco della sobrietà materna, ma anche a quello funebre (come da usanza cinese) degli adii.
In sintesi Occhiali neri non segna una rinascita argentiana, ma è il consapevole crepuscolo di un autore, il quale ha finalmente compreso che lo scorrere del tempo attraversa anche il suo cinema.
