La 65ª edizione del Globo d’Oro, il riconoscimento assegnato dall’Associazione della Stampa Estera in Italia, ha celebrato ancora una volta il meglio della produzione cinematografica italiana. La cerimonia si è svolta presso la solenne Sala della Protomoteca nel palazzo del Campidoglio, condotta da Betty Senatore in una serata intensa, tra premi, emozioni e parole che lasciano il segno.

Tutti i vincitori
A trionfare come Miglior Film è Il nibbio, opera visionaria e coraggiosa che ha saputo catturare l’attenzione della stampa internazionale per la sua forza narrativa e il respiro cinematografico. Alla regia spicca Gabriele Mainetti, premiato per La città proibita, confermando ancora una volta la sua capacità di costruire universi visivi originali e riconoscibili.
Il premio per la Miglior Sceneggiatura è andato a Le assaggiatrici, racconto stratificato che intreccia introspezione e rigore storico. Alla fotografia, si impone Maurizio Calvesi con L’abbaglio, per una composizione luministica che trasforma la pellicola in un affresco pittorico.
Federico De Robertis conquista il Globo per la Miglior Colonna Sonora con Napoli New York, fusione riuscita tra ritmo contemporaneo e radici musicali partenopee.
Tra gli attori, Barbara Bobulova e Claudio Santamaria vengono riconosciuti rispettivamente come Miglior Attrice e Miglior Attore, per interpretazioni intense, asciutte, lontane da ogni artificio.
La Miglior Opera Prima va a Ciao bambino, debutto che ha saputo unire delicatezza narrativa e sguardo personale. Il Premio Giovane Promessa è invece per Beatrice Barison, protagonista di La vita accanto di Marco Tullio Giordana, già capace di una presenza scenica matura e profonda.
Pupi Avati: “Ogni film è stato come un’opera prima. E mi ha reso sempre più povero”
Un momento particolarmente sentito della serata è stato il Premio alla Carriera conferito a Pupi Avati, autore che ha attraversato sessant’anni di cinema senza mai abdicare alla propria idea di racconto. Ma il suo discorso di ringraziamento ha spiazzato tutti, con toni amari e sinceri, ben lontani dalle celebrazioni retoriche.
“Il cinema mi ha reso sempre più povero”, ha detto il regista, “ma mai infelice.”
Con la consueta lucidità, Avati ha ricordato che suo padre aveva lasciato alla famiglia una casa splendida, oggi venduta all’asta. “Abbiamo fatto un cinema controcorrente, senza guardare quali sono gli attori che vanno.” ha dichiarato. “Ogni film, per me, è stato sempre come un’opera prima in questi 57 anni di carriera: fatto con emozione e passione, facendo debiti inenarrabili e diventando sempre più povero.”
Senza autocommiserazione, ma con la consapevolezza di chi non ha mai ceduto alle scorciatoie, il maestro ha parlato anche della solitudine che spesso accompagna chi rifiuta di omologarsi:
“Quando squilla il telefono, spesso non credono che sia davvero io. Ma continuo a girare. Con attori dimenticati, che non vanno di moda.”
Una riflessione autentica, che ha ricordato a tutti il valore della coerenza in un mestiere che spesso premia altro.
Isabella Rossellini: ambasciatrice d’innovazione e memoria
Il Gran Premio della Stampa Estera è andato a Isabella Rossellini, un riconoscimento che va ben oltre la sua carriera di attrice. Figlia d’arte – nata da due giganti come Ingrid Bergman e Roberto Rossellini – e sperimentatrice instancabile, Isabella ha saputo attraversare generi e formati, dal grande schermo ai cortometraggi d’autore, dalla moda alla divulgazione scientifica e attivismo culturale, mantenendo sempre uno sguardo critico sul presente e proiettando al futuro la ricchezza del patrimonio culturale italiano.
La sua carriera poliedrica, il suo impegno culturale e artistico, e la capacità di coniugare eleganza e sperimentazione ne fanno un punto di riferimento imprescindibile per più generazioni di spettatori e cineasti. Con questa scelta, la Stampa Estera non celebra solo una carriera indimenticabile, ma invia un messaggio chiaro: il cinema italiano vive e respira nella tensione tra tradizione e innovazione, nella capacità di rinnovarsi pur restando fedele a radici profonde.
In chiusura, la 65ª edizione del Globo d’Oro è stata un ritratto del nostro cinema: creativo, resistente, a volte ferito ma mai domato. Un’industria fatta ancora di voci forti, di nuovi sguardi e di maestri come Pupi Avati, che non smettono di credere che raccontare storie sia, in fondo, un atto di amore. E di disobbedienza.
