La celebratissima saga Karate kid, franchise che ormai dura da quarant’anni, scodella un nuovo capitolo per rilanciare il prodotto, ma per la prima volta senza l’egida di Jerry Weintraub, scomparso nel 2015.
Karate kid: legends è a metà fra il sequel (in coda alla sesta stagione di Cobra Kai) e il reboot, dopo il pallido remake del 2010.
Mezzo flop al box office italiano, l’ennesima gemmazione della saga con Ralph Macchio si è fatta battere dal campione di incassi Lilo & Stitch e ora dal nuovo Dragon Trainer. Un tonfo sordo nella distribuzione estiva di blockbuster, per un film poco apprezzato da pubblico e critica, che si affloscia senza lasciare il segno.

Karate kid: Legends, una centrifuga sconclusionata e forzatamente triste
Dopo i primi tre capitoli diretti da John G. Avildsen, un quarto con la regia di Christopher Cain, un tardo remake e sei stagioni di Cobra Kai, pare che la saga non sappia più come reinventarsi e trovare nuovo ossigeno.
Karate kid: Legends più che un sequel pare una triste rimpatriata di ruoli, facce e cliché, entrati pienamente di diritto all’interno del franchise. Il film si apre con un segmento estrapolato da Karate kid II La storia continua, creando immediatamente un senso di nostalgico déjà vu, per poi inserire all’interno dell’esile storiella sull’ennesimo nerd di origini cinesi, una centrifuga di rimandi e intrecci farraginosi che provengono sia dalla saga anni Ottanta che dal suo remake.
Così si ritrovano a fare da maestri al giovane Li Fong (appena arrivato negli Stati Uniti) Mr. Han (interpretato da Jackie Chan), proveniente dal remake del 2010 e Daniel LaRusso, ovvero Ralph Macchio, icona e anima dell’intera saga.
Karate e kung fu si mescolano senza alcun senso e si aggiunge persino la boxe, quando un pizzaiolo ex pugile decide di tornare sul ring.
Nulla è davvero divertente in Karate kid: Legends, nemmeno i combattimenti che dovrebbero essere la spina dorsale del prodotto, i quali si spengono così in poche sequenze mal coreografate. Persino la sfida finale dura solamente una manciata di minuti, per poi chiudersi tra baci e abbracci. Resta una tristezza forzata nell’evocare il fantasma del maestro Miyagi, defunto insieme al suo insostituibile interprete Pat Morita.
Nostalgia karate
Negli anni Ottanta, il produttore Jerry Weintraub, coadiuvato dal regista John G. Avildsen (quello di Rocky per intenderci), ha la brillante idea di combinare insieme il film di arti marziali con la commedia per famiglie, ibridando così il cinema marziale e ascetico orientale con le spacconate da action-comedy americana. La combo è esplosiva e Per vincere domani – The Karate Kid, uscito nel 1984, rivoluziona l’immaginario del cinema per famiglie, crescendo intere generazioni con battute ormai di culto (Dai la cera, togli la cera!).
Erano anni in cui le mode del kung fu movie erano state traghettate anche in occidente, grazie principalmente alle pellicole agonistico-sportive con Jean-Claude Van Damme, dopo l’egemonia del genere a Hong Kong con Bruce Lee prima e Jackie Chan e Summo Hung poi, succedanei di Bruce compresi.
Ralph Macchio diventa una star e Pat Morita immortala la figura ironico-sapiente del suo maestro Miyagi, rinnovando stilisticamente il prodotto di intrattenimento per famiglie e al contempo ridando smalto al cinema di arti marziali. Una combinazione unica che non ha più avuto eredi.
L’anti Karate kid
Dopo il 2010 con il fiacco rifacimento del primo Karate kid, i produttori non sanno come uscire dall’impasse e ridare linfa alla saga. Ecco che Hayden Schlossberg e Jon Hurwitz nel 2018 hanno l’acuta intuizione di serializzare il prodotto in un sequel ironicamente autoreferenziale. Nasce così Cobra Kai, una delle serie più seguite e amate degli ultimi anni, costruita come un sequel della serie cinematografica originale. L’idea vincente che sta alla base, è quella di eleggere a protagonista Johnny Lawrence (William Zabka) antagonista di Daniel nel primo capitolo, ora cinquantenne sfigato che medita vendetta. Giunto ormai a sei stagioni, anche Cobra Kai pare aver perso un po’ la bussola, ma la partenza è stata davvero memorabile con una rilettura del franchise in chiave quasi autoparodica.
