Beetlejuice è tornato dopo 36 anni per compiere nuovamente i suoi bio esorcismi, ma il suo ritorno era proprio necessario? Il nuovo film di Tim Burton, e seguito dell’omonimo film cult diretto dal regista nel 1988, ha sicuramente riportato i fan della saga al cinema per ammirare nuovamente le peripezie dello spirito burbero e goffo interpretato da Michael Keaton, ma forse sono usciti dalle sale con l’amaro in bocca, convinti di aver visto un film nato con l’obiettivo di restituire quel tocco di memoria burtoniana agli appassionati, ma che è finito per sfruttare al meglio la loro nostalgia per ragioni squisitamente commerciali.

Trama
Sono passati 36 anni dagli eventi del primo film e Lydia (Winona Ryder) è diventata grande e ora è conduttrice di un programma sul paranormale ma ha un pessimo rapporto con la figlia Astrid (Jenna Ortega), la quale non condivide il lavoro della madre e la relazione con il futuro marito Rory (Justin Theroux). In seguito alla morte del padre di famiglia Charles Deetz, Lydia è costretta a tornare nella casa di Winter River dove erano avvenute le avventure del primo film, affrontando i demoni del proprio passato, soprattutto quello spiritello porcello di Beetlejuice.
Il regno delle incomprensioni
Come nel primo film, anche in Beetlejuice Beetlejuice l’incomprensione tra gli uomini regna sovrano, portando in vita un nucleo tematico tanto caro al regista statunitense e quanto mai veritiero nel descrivere un tessuto di relazioni sociali attualmente privo di compromessi e dialoghi costruttivi. Nella pellicola ogni personaggio fa fatica a comprendere l’altro: Lydia non intuisce i turbamenti giovanili della figlia, Astrid dal canto suo non capisce i comportamenti fuori luogo della madre, nuovamente Lydia non capta le reali intenzioni del compagno Rory e le azioni stravaganti della madre Delia. Insomma non c’è proprio spazio per venirsi incontro e accettare le critiche degli altri, perché ognuno pensa a se stesso.
Lo scetticismo dei nuovi giovani
A dispetto del primo capitolo, in cui era la figlia Lydia a credere nei fantasmi e in un mondo paranormale con i genitori più suscettibili al riguardo, nel nuovo film di Tim Burton a essere meno credulona è proprio la gioventù, incarnata da Astrid, invertendo di fatto i ruoli del prequel. Sono passati 36 anni e il mondo e la società sono chiaramente cambiati. Ora a farsi largo è la tecnologia, i social network, e la conseguente sovrabbondanza di contenuti mediali che ne deriva. Ora sappiamo tutto di tutti, è tutto verificato e provato e non c’è più spazio per il mistero e la suggestione. E ne sono consapevoli i giovani, i pazienti zero dei social, ancorati paradossalmente a un mondo materiale e pienamente dimostrato. La spiritualità, il valore della credenza, sono ormai merce rara.
