Nell’estate del 2010 Christopher Nolan porta nelle sale Inception, un ambizioso viaggio onirico dentro i meandri della mente umana. Quindici anni dopo, questo film è diventato molto di più di un successo commerciale: è un manifesto del cinema blockbuster d’autore, capace di unire spettacolarità visiva e profondità concettuale e, di conseguenza, di segnare una generazione di spettatori.
Dopo il trionfo de Il Cavaliere Oscuro, Nolan ottiene dalla Warner Bros la possibilità di realizzare un progetto personale ed originale con un budget da kolossal: oltre 160 milioni di dollari. In un panorama dominato da sequel e franchise, Inception è una rarità. Un film d’azione con idee complesse come i temi della realtà, il tempo, la memoria e il senso di colpa, senza perdere ritmo e tensione.
Il successo fu clamoroso: oltre 800 milioni di dollari al box office e quattro premi Oscar, tra cui Miglior fotografia e Migliori effetti speciali.

Un sogno dentro al sogno
Al centro della storia c’è Dom Cobb, interpretato da Leonardo DiCaprio, un ladro molto particolare: è un esperto nell’estrarre segreti dal subconscio delle persone mentre sognano tramite una sofisticata tecnologia di condivisione onirica. Ma la sua vita personale è a pezzi: è in fuga da una condanna per omicidio – di cui non è colpevole – della moglie Mal (Marion Cotillard) ed è tormentato dal ricordo di lei morta in circostanze tragiche e che continua ad apparirgli nei sogni.
L’occasione di riscatto arriva da un potente uomo d’affari, Saito (Ken Watanabe), che propone a Cobb una missione ancora più rischiosa dell’estrazione: l’”inception”, ovvero l’impianto di un’idea nella mente di Robert Fischer (Cillian Murphy), erede di un impero economico, senza che questo se ne accorga.
La grande innovazione di Inception risiede nella sua struttura: un sogno dentro un sogno dentro un sogno. Il tempo si dilata, le percezioni si moltiplicano, i livelli narrativi si sovrappongono. È un film che non chiede solo di essere guardato, ma interpretato. Il pubblico è chiamato a ricostruire costantemente i riferimenti spazio-temporali, a decifrare simboli, a scegliere cosa credere. Mai passivo, sempre coinvolto.
Il tempo come musica
Indimenticabile anche la colonna sonora di Hans Zimmer, in particolare il brano Time che ha raggiunto uno status quasi mitico. Le sonorità gravi e cicliche diventano il commento sonoro perfetto a un film in cui la percezione del tempo è continuamente deformata.
Il famoso BRAAAM, imitato e parodiato ovunque, è diventato una firma sonora del cinema contemporaneo. Ma al di là del cliché, Inception ha ridefinito il ruolo della musica nei blockbuster: non come semplice accompagnamento ma come elemento drammaturgico centrale.
L’eredità culturale
Negli anni Inception ha influenzato decine di opere: da film come Doctor Strange e Tenet (dello stesso Nolan) a serie TV e videogiochi. Ha rinnovato l’idea di cinema “puzzle” dove la comprensione non è immediata ma richiede attenzione e riflessione.
Ha anche lasciato un’impronta nella cultura pop: il concetto di “inception” è entrato nel linguaggio comune e il finale con il totem che gira ancora è uno dei più discussi e interpretati di sempre.
A quindici anni dall’uscita, Inception è ancora un’opera sorprendente, moderna, capace di stupire nuovi spettatori e offrire nuove letture a ogni visione. È il simbolo di un’epoca in cui Hollywood poteva ancora rischiare su idee originali e di un autore che ha saputo sognare in grande – e farci sognare con lui.
Come dice Cobb: “Un’idea è come un virus, persistente, altamente contagiosa. E il più piccolo seme di un’idea può crescere fino a definirti o a distruggerti.”
Nel caso di Inception, quell’idea ha attecchito profondamente nella storia del cinema.
