In queste settimane (dal 13 al 24 maggio) si sta svolgendo la 78A edizione del Festival di Cannes, la cui giuria è presieduta dalla diva francese Juliette Binoche a cui fanno seguito gli attori Halle Berry, Jeremy Strong, Alba Rohrwacher e i registi Payal Kapadia, Dieudo Hamadi, Hong Sang-soo, Carlos Reygadas e la scrittrice Leïla Slimani. Edizione nel segno del femminile già a partire dalla presidente di giuria, ma anche dalle quote rosa presenti tra i film in concorso. Sono ben sette le registe in gara su 22 film presentati. Julia Ducournau, già vincitrice della Palma d’oro con Titane nel 2021, con Alpha torna al body horror femminista, mettendo in scena la vicenda di una tredicenne che vive un conflitto con la propria madre. Lynne Ramsay con Die, My Love, presenta un dramma su Hollywood e sulle relazioni familiari prodotto da Martin Scorsese. Tra le altre cineaste in concorso bisogna citare Kelly Reichardt, autrice di punta di un certo cinema indie statunitense, la quale torna alla Croisette per la terza volta con The Mastermind, opera che riapre la ferita mai chiusa della guerra del Vietnam.

Autori contemporanei e maestri in concorso
In questa fitta selezione di opere in concorso abbiamo anche la presenza di acclamati autori contemporanei come Richard Linklater il quale con Nouvelle Vague mette letteralmente in scena il dietro le quinte del godardiano Fino all’ultimo respiro. Mentre Ari Aster, autentico outsider del neo-horror statunitense, con il consueto spirito anarchico e provocatorio che lo contraddistingue presenta un western horror ambientato durante la pandemia Covid-19 e girato in widescreen, titolo: Eddington.
Sempre in concorso troviamo anche maestri anch’essi impegnati a lavorare sul tema del femminile. I decani del festival Luc e Jean-Pierre Dardenne, campioni indiscussi di un cinema morale ed essenziale, che con Jeunes mères seguono le vicende di un gruppo di giovani madri all’interno di una casa famiglia. Mario Martone che realizza Fuori, tratto dalla scrittrice catanese Goliarda Sapienza, riscoperta recentemente grazie alla miniserie L’arte della gioia diretta da Valeria Golino che qui ritroviamo come interprete. Un racconto (auto)biografico che funziona come gioco di specchi e riflessi tra interprete e scrittrice. Jafar Panahi, maestro iraniano di un cinema purissimo e militante (più volte arrestato per proteste), realizza Un simple accident, su cui attualmente si conosce ben poco. E come ciliegina sulla torta troviamo in gara anche Wes Anderson, cantore di un cinema formalmente stilizzato, tragicomico e surreale che con La trama fenicia si misura per la prima volta con la spy story. Il regista si affida a interpreti come Benicio del Toro e Kate Winslet e a un cast, come sempre, ricchissimo che va da Scarlett Johansson a Tom Hanks, ormai icone dello stralunato universo andersoniano.
Fuori concorso
Il festival è stato aperto da un’altra opera al femminile, presentata fuori concorso, si tratta di Partir un jour, un debutto nel lungometraggio ad opera della regista Amélie Bonnin, una commedia drammatica che racconta le imprese di una ragazza che sogna di aprire un ristorante a Parigi. Procedendo con uno sguardo a volo d’uccello è possibile riscontrare che nella sezione Fuori concorso una gran quantità di grandi autori internazionali e solamente un blockbuster statunitense, Mission Impossible – The Final Reckoning di Christopher McQuarrie, capitolo conclusivo della prolifica e adrenalinica saga interpretata da Tom Cruise.
Fra i molti spiccano Spike Lee con un thriller urbano ispirato ad Anatomia di un rapimento di Akira Kurosawa (Highest 2 Lowest), Ethan Coen (ormai orfano di Joel) propone una crime story con nuovamente protagonista Margaret Qualley (Honey don’t!). Mentre Lav Diaz, con il consueto stile fluviale, presenta un’opera di carattere storico (Magalhães) incentrata sul matrimonio tra Ferdinando Magellano e Beatrice Barbosa Fernandes. Fatih Akin (Amrum), che torna a lavorare con Diane Kruger per una storia ambientata durante il secondo conflitto mondiale. Menzione speciale per Pierre Richard che presenta L’homme qui a vu l’ours qui a vu l’homme, una tragicommedia con protagonisti un vecchio eremita, un giovane affetto da sindrome di Asperger e un orso fuggito dal circo.
Le altre sezioni
Venti sono i film presenti nella sezione Un Certain Regard, su cui spiccano due italiani, Testa o croce? di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, che dopo Re granchio (presentato sempre a Cannes nel 2021 nella Quinzaine) reinventano il western tra il mito americano del cowboy e quello italiano del buttero e Le città di pianura di Francesco Sossai. Sossai al suo secondo lungo, crea un confronto generazionale tra uno studente e due cinquantenni, tutto svolto in una notte.
Molto trasversale appare lo sguardo sul cinema e la società nella selezione Quinzaine de cinéastes, uno sguardo che cerca di osservare il contemporaneo nella sua globalità e complessità. Dangerous animals segna il ritorno di Sean Byrne e del suo modo di affrontare il genere horror. Girl on edge invece è l’esordio del cineasta cinese Jinghao Zhou, mentre Mirrors No. 3 conferma la grandezza di uno dei grandi maestri del cinema tedesco contemporaneo, Christian Petzold che ritrova la sua attrice feticcio Paula Beer. In conclusione per la Semaine de la critique abbiamo una massiccia presenza di opere francesi (tra corti e lunghi), ma anche in questo caso privilegiando spesso il femminile, sia nel comparto registico (Pauline Loquès, Alice Douard, Laura Wandel, Alexe Poukine) che per quanto concerne le storie raccontate.
