A distanza di ben quattordici anni dall’ultimo capitolo, torna la saga horror che riflette filosoficamente sulla caducità dell’esistenza biologica e la conseguente ansia umana nel posticipare il momento del trapasso.
James Wong aveva aperto gli anni Duemila creando questo franchise (comprensivo di ben sei capitoli). Wong ha adeguato il teen-horror alle tensioni sociopolitiche e umane del nuovo millennio, sbriciolando qualsiasi identificazione concreta del male (come avveniva in Scream), spostando la minaccia di morte verso un altrove inconoscibile, legato a un disegno deterministico che ci comprende tutti.
Quando si pensava che la saga fosse ormai ridotta agli sgoccioli creativi, in un ripiegamento involutivo di ganci narrativi e invenzioni estetiche, Final Destination Bloodlines riesce a sorprendere magnificamente, facendo risorgere un prodotto ormai alla deriva dalle proprie ceneri come un’araba fenice e riuscendo persino ad attualizzarlo.

Da teen-horror a riflessione sulla società contemporanea
Sgomberato ormai il campo di battaglia del popcorn-horror dagli ultimi residui teen, la saga di Final Destination diventa finalmente un racconto adulto. Senza però abbandonare il divertimento ironico e la creatività splatter nel coreografare la messa a morte, il film raggiunge picchi inventivi che fungono da riflessione critica sulla banalità del contemporaneo e sulla reinvenzione di un prodotto standardizzato dandogli un nuovo senso.
La struttura narrativa è la medesima dei precedenti capitoli. La diciottenne Stefani continua a sognare un disastro avvenuto cinquant’anni prima che aveva visto coinvolta sua nonna, di cui ora ha perso le tracce. Da qui in poi la ragazza capirà di possedere il dono di preveggenza e cercherà di anticipare la morte e le sue mosse, affinché il diabolico disegno del destino non possa compiersi. Final Destination Bloodlines, diretto da Zach Lipovsky e Adam Stein, riesce a farsi racconto ansiogeno e al contempo ironico, grazie a una meticolosa costruzione della suspense, posticipando più volte l’arrivo di una sciagura che puntualmente esplode in modo totalmente inatteso. In una società sempre più vacua e imprigionata in sovrastrutture estetiche, la morte colpisce in modo variopinto e fantasioso, dove lo splatter diventa gag comico (la sequenza del barbecue) ma a volte viene sospeso a favore di una profonda e romantica malinconia esistenziale (la sequenza del negozio di tatuaggi).
Final Destination Bloodlines e The Monkey: Ridere con la morte
Final Destination Bloodlines insieme a The Monkey di Oz Perkins si classifica già come uno degli horror dell’anno. Ambedue i film riflettono sull’urgenza del fare i conti con la morte, imparando non a sfidarla ma ad accettarla come inevitabile compimento dell’esistenza. Il film di Perkins (vagamente ispirato a un racconto di Stephen King) funziona come una sorta di appendice della saga creata da Wong e andrebbe letto in parallelo a quest’ultimo capitolo, inquanto dialogano uno con l’altro, riducendo la paura della dipartita a risata liberatoria non tanto sulla ma con la morte, prendendosene cura e integrandola nel quotidiano. Nel primo Final Destination compare nella camera dell’adolescente Alex il pupazzo di una scimmia, sarà un caso oppure era scritto nel destino?
Un incipit da manuale
Final Destination Bloodlines presenta un lungo incipit (ambientato nel 1968) che dimostra già ampiamente la notevole abilità narrativa e stilistica di Zach Lipovsky e Adam Stein. Rallenty, improvvise accelerazioni, dettagli ravvicinati di oggetti che preludono la catastrofe (la moneta, la goccia di cristallo un lampadario, il pavimento che si incrina), montaggio serrato e rapporto suono-immagine, costituiscono un mosaico di stimoli ottici e uditivi che immettono già lo spettatore nella tensione ironica del racconto. Inoltre nell’incipit del film veniamo a conoscenza dell’infanzia di William Bludworth, personaggio legato all’intera saga, interpretato da Tony Todd il quale ci regala uno struggente addio, sapendo soprattutto che l’interprete è morto realmente prima che il film fosse distribuito.
