Paolo Sorrentino, tra i cineasti più originali e acclamati del cinema italiano contemporaneo, nel 2004 ha realizzato il suo secondo lungometraggio dopo il già apprezzato L’uomo in più. Le conseguenze dell’amore ha fatto emergere lo stile e il talento di un cineasta ancora in fase di affermazione, la cui fama andrà a consolidarsi poi in opere successive come Il divo e La grande bellezza.
Le conseguenze dell’amore resta uno dei migliori esiti di Paolo Sorrentino e la prova della precisa aderenza fra il proprio stile e la maschera attoriale di Toni Servillo, qui chiamato a ridurre le sue capacità fisiognomiche alla fissità di un volto impenetrabile, ma dallo sguardo penetrante e acutamente osservatore.
A partire dai primi di giugno, il film è disponibile gratuitamente su Raiplay e tramite abbonamento su Netflix, un’occasione per poter riscoprire le origini di un cineasta che (nel bene e nel male) ha saputo rinnovare linguisticamente il cinema italiano contemporaneo.

L’uomo che guarda
Toni Servillo è Titta Di Girolamo, cinquantenne che ormai vive lontano da qualsiasi contatto umano, recluso in un albergo svizzero. L’uomo è separato, con tre figli che ormai lo rifiutano e i soli contatti umani li ha con il direttore dell’albergo e con una coppia di anziani, un tempo benestanti, con i quali gioca spesso a carte. Titta si fa di eroina solamente una volta a settimana per poi farsi ripulire ciclicamente il sangue e intrattiene affari loschi con la mafia, fungendo da depositario di valuta sporca.
Una figura silente e imperturbabile che si limita a guardare le vite altrui perché la propria ormai è un’esistenza da fantasma. Sorrentino e Servillo costruiscono un personaggio profondamente tragico, che come il successivo Jep Gambardella de La grande bellezza risulta profondamente solo. Ambedue rinchiusi in un mondo artificiale (per Titta l’albergo, mentre per Jep i locali notturni), alla continua ricerca di una bellezza perduta.
Di Girolamo guarda la bellezza che lo circonda e pensa di aver trovato l’eterno femminino in Sofia, giovane barista dell’hotel, e tra i due sembra nascere un sentimento, ma il destino crudelmente beffardo riserverà delle amare sorprese.
Servillo compone minuziosamente il personaggio di Titta attraverso impercettibili movimenti del volto, mentre i ritmi di un mondo che continua la sua corsa, si sciolgono progressivamente nel suo sguardo.
Le geometrie di uno stile
Fin dai suoi primi lavori, è emersa nello stile registico di Sorrentino una tensione verso un certo simbolismo estetico, in grado di astrarre dalla realtà personaggi, luoghi e oggetti, conferendo agli stessi una potenza auratica, quasi una sospensione mistica. Una cifra stilistica poeticamente affascinante e anomala per quanto concerne il panorama cinematografico italiano degli anni Duemila. Ma ad un certo punto della sua filmografia (da This Must Be the Place) lo stile si è fatto maniera, impronta autoreferenziale e a volte autoparodica, salvo poi riprendersi in recenti lavori come E’ stata la mano di Dio e Parthenope (non esente da qualche estetismo gratuito).
Ma fino a Il divo, le geometrie precise di corpi e oggetti possedevano ancora un certo spessore morale, forme in grado di far emergere espressionisticamente la tragica ontologia dei personaggi descritti.
In Le conseguenze dell’amore, Servillo viene immortalato nella sua staticità esistenziale, ritto, prono o supino, mentre la macchina da presa indugia sul tempo che scorre, per poi passare ad un montaggio ellittico in cui forme e simboli improvvisamente si frantumano.
Proust Pulp
Sorrentino non ha mai nascosto il suo amore sconfinato per Marcel Proust, citandolo apertamente anche in una battuta de La grande bellezza. Ma la profonda e complessa analisi proustiana su tempo, ricordi e sentimenti, era già molto presente in Le conseguenze dell’amore, dove un dolore influenza l’intera vita del protagonista.
Il flusso di coscienza romantico-psicanalitico, sottolineato dalla voce narrate off di Servillo (parte di una recherche personale che Sorrentino porterà a compimento con Parthenope), incontra la letteratura pulp.
Ne nasce un connubio dal fascino straniante e visivamente ipnotico, in cui lampi improvvisi di adrenalina sparpagliano la narrazione contemplativa come fragili frammenti di un discorso amoroso.
