Presentato al Festival di Cannes 2024, e ora nelle sale italiane, la quarta opera da regista per l’interprete e sceneggiatore francese Gilles Lellouche, è stata considerata da gran parte della critica il peggior film in concorso nel 2024. Nonostante la fredda accoglienza ricevuta da più parti alla Croisette, L’amore che non muore in patria è stato un autentico successo al box office, visto da circa 5 milioni di spettatori, e candidato a 13 premi César.
Tratto dal romanzo di Neville Thompson Jackie Loves Johnser OK?, il film vuole essere (secondo le parole del regista) una commedia romantica e ultraviolenta e lo è decisamente, perdendo spesso il senso della misura e della narrazione, disperdendo al suo interno diversi rimandi testuali e creando un caleidoscopio fotoromanzesco e pulp. Il titolo originale è assai più esplicativo di quello italiano, L’Amour ouf, ovvero l’amore folle ma a lettere invertite, creando una sfasatura già nel titolo. Ouf suona quasi come uno sbuffo di impazienza, ed è la chiave di volta per interpretare e perimetrare la tumultuosa, chiassosa ed eccessiva materia estetico-narrativa generata dallo sguardo di Lellouche. Un po’ come in Crimen ferpecto (non perfecto!) di de la Iglesia, il gioco di spostamento linguistico dell’operazione parte tutto dal titolo.

Un crime-romance fragile ma dal cuore pulsante
Di certo non è l’originalità del plot il punto di forza del film di Lellouche, ennesima rimasticazione dei topoi shakespeariani che vanno dal West Side Story di Wise a quello di Spielberg, passando per China Girl di Ferrara. Ma bisogna essere in grado di andare oltre i logori parametri rappresentativi del (melo)dramma e lasciarsi risucchiare dalla ridondanza generosa in cui ci trascina l’opera. Tenendo sempre conto di una certa astuzia realizzativa, per colpire al cuore con sentimenti prepotentemente scagliati contro il fruitore. Una ragazza ancora provata dalla morte della madre (Adèle Exarchopoulos) si innamora perdutamente di un giovane sbandato (François Civil), ne nasce una passione travolgente che (ça va sans dire) supererà le barriere sociali, per poi andare in frantumi e ricomporsi a distanza di dieci anni.
L’Amour ouf è un crime-romance filtrato attraverso il linguaggio argot (L’odio di Kassovitz è tra i modelli), in cui situazioni e azioni si accumulano spesso senza soluzione di continuità. Una ridondanza di stili, forme e fonti che schiacciano la fragilità del plot, ma ne emerge il cuore pulsante delle emozioni, spesso strombazzate e tonitruanti, dalle quali però gronda una generosità che coinvolge.
Musica per criminali
L’amore che non muore pur non rientrando nella categoria del film musicale, spesso ne mima gli spazi esplorati nella loro totalità dalla macchina da presa, inserendo una colonna sonora-jukebox sospesa tra gli anni Settanta e Novanta.
Insieme a Joker: Folie à Deux e a Emilia Pérez, è uno dei film della stagione 2024/2025 che cercano di reinventare il linguaggio musical, ibridandolo con il crime e la love story.
L’amour ouf inserisce dei momenti isolati di cinema-karaoke che accentuano la passionalità viscerale della vicenda, senza farsi direttamente opera-musical, C’è poi una bellissima sequenza di danza con i corpi dei protagonisti quasi in silhouette, che riprende il corpo-ginnico in movimento come ai bei tempi di Flashdance.
Lellouche compone un inno dei corpi in caduta libera, attraverso un’operazione a un passo dal suicidio artistico (diversi finali uno dentro l’altro), ma che non teme di sgranare fino in fondo il melodramma con i moduli del fotoromanzo, del balletto criminale e del ri-ascolto musicale.
In lotta con il mondo e le sue convenzioni
Avevamo lasciato Lellouche nel 2018 con la sua commedia drammatica 7 uomini a mollo (ovvero Le Grand Bain), quasi una di-versione dell’inglese Full Monty sul nuoto sincronizzato. Ora lo ritroviamo a dirigere un’operazione in apparenza opposta ma che procede verso il medesimo traguardo. 7 uomini a mollo ha una regia controllata, quasi geometrica nel rapporto tra corpi e spazi, chiusa spesso nel medesimo ambiente (la piscina). In L’Amour ouf la mano registica perde il controllo e i corpi attraversano il tempo e la spazialità dei set, ma ambedue descrivono la forza e lo sforzo dei sentimenti, una sfida esistenziale in grado di fare a pugni con il mondo e le sue convenzioni.
