Il cinema di Federico Fellini è essenzialmente memoria e gli esempi, andando a sviscerare la sua mirabile filmografia, sono tanti: da I Vitelloni a 8½, per passare a Roma e Intervista, il regista italiano ha sempre trasposto all’interno della propria poetica cinematografica quelli che sono i ricordi legati al suo passato a Rimini e nella capitale, alle sue esperienze personali e professionali, alla sua visione del mondo, il tutto filtrato attraverso i personaggi dei suoi racconti, dei veri e propri alter ego del regista stesso. Ma è con Amarcord, che oggi compie 51 anni dalla sua prima uscita, che il tema della memoria felliniana raggiunge il massimo dell’apice, il film che assurge a massima esposizione di ciò che Fellini ha vissuto durante il periodo giovanile a Rimini, sua terra natìa. D’altronde il titolo stesso della pellicola suggerisce una certa vena nostalgica del regista riminese: “a m’arcord”, ossia “io mi ricordo”.

Trama
Il film segue le vicende degli abitanti di un piccolo borgo di Rimini, San Giuliano, durante gli anni Trenta del Novecento. La storia mette in scena quelle che sono le abitudini, gli eventi e i costumi tipici dell’epoca come, ad esempio, la gara automobilistica delle Mille Miglia, il passaggio del transatlantico Rex, le adunate del sabato fascista, visti e vissuti attraverso gli occhi dei personaggi della pellicola: la seducente parrucchiera Gradisca, la “tabaccaia”, Volpina la ninfomane. Ma soprattutto gli adolescenti del borgo, che vivono le prime tempeste ormonali, a essere i protagonisti di Amarcord, tra i quali emerge senz’altro il giovane Titta Biondi (il vero occhio di Fellini) e la sua storia problematica, fatta di sogni ad occhi aperti, amori inarrivabili e una famiglia disfunzionale.
San Giuliano, il paese fantasma
Amarcord è senza dubbio uno dei più importanti film del regista, il cui grande successo è stato sancito con l’oscar al Miglior Film Straniero nel 1975. La pellicola rappresenta uno spaccato di vita all’interno di un borgo di provincia, fatto di pochi abitanti e ricorrenze consolidate, con eventi fuori dal normale che rappresentano per la cittadina una sorta di evasione dalla routine quotidiana. Fellini riesce con grande cura e poetica a creare un melting pot di personaggi molto diversi fra loro per indole e storia vissuta, ma simili nel simboleggiare una visione comune dello stile di vita del borgo di San Giuliano: un’atmosfera fuori dal tempo e dallo spazio, un luogo onirico e sognante, in linea diretta con lo stile visivo e narrativo del regista stesso.
Titta, la voce e gli occhi della poetica felliniana
Tra i vari personaggi che costellano le vicende del paese, quello di Titta (interpretato da Bruno Zanin) è il più rappresentativo nel farsi portavoce della poetica felliniana: tutto ciò che vive lo stesso Titta altro non è che ciò che Fellini stesso ha vissuto durante la propria adolescenza riminese, fatta di amori e allo stesso tempo inquietudini. Ma non solo. Il regista non si limita a offrire una sorta di rappresentazione autobiografica della vita di paese e dei suoi abitanti, ma alza ulteriormente l’asticella mostrando allo spettatore un vero e proprio viaggio nel tempo che lo conduce direttamente ai primi anni ‘30 del Novecento: qui Fellini, sempre secondo il proprio stile suggestivo e visionario, mette in scena gli usi e i principali eventi dell’epoca, come il dominio fascista, o il già citato passaggio della nave Rex.
Ognuno vive il proprio Amarcord
Lo spettatore, guardando Amarcord, si può comunque rendere conto che, nonostante l’ambientazione storica e retrò, la storia possa parlare direttamente a lui e al suo ricordo passato: i personaggi e lo stesso borgo di San Giuliano sono sì un estensione simbolica del passato del regista, ma sono universalmente vicine al fruitore, che dal canto suo può viaggiare con la mente nei meandri del proprio passato e dei propri ricordi, felici o tristi che siano, portandolo a creare il proprio e personale “Amarcord”.
