L’essere umano è il più grande mistero vivente di tutti i tempi, un individuo complesso e indecifrabile che sfugge a qualsiasi comprensione razionale. Quante volte infatti (ci) sentiamo dire “vorrei tanto entrare nella tua mente”? Ma dentro di noi c’è già qualcun altro, un team altamente professionale che gestisce la nostra infinita sfera emozionale e che porta noi individui a interfacciarsi con l’esterno e allo stesso tempo esplorare il nostro io interiore. Questo è almeno quello che è stato teorizzato dalla Pixar con Inside Out, il loro film per certi versi più umano e che oggi 16 settembre compie 9 anni dalla sua prima uscita nelle sale.
Un’altra scommessa vinta dalla Pixar: grande successo di pubblico, premio Oscar nel 2016 come miglior film d’animazione e la generazione di un sequel uscito recentemente al cinema.

Trama
Nella mente dell’undicenne Riley Anderson lavorano cinque emozioni: la Gioia, la Tristezza, la Rabbia, la Paura e il Disgusto, con l’obiettivo di manipolare e monitorare il pensiero della protagonista nelle proprie scelte. Da ogni esperienza vissuta da Riley nasce un ricordo associato a quel momento, che va a finire in un database mentale nel quale sono riposti e catalogati tutti i ricordi della ragazza fin dalla nascita. Quando la giovane protagonista comincerà a crescere e a subire i primi traumi, Tristezza prenderà il sopravvento sulle altre emozioni.
Il sistema fordiano nella mente umana
Inside Out esplicita chiaramente nelle prime battute come anche la mente umana, il più inconscio e imprevedibile dei meandri, sia in realtà disciplinato da priorità ben specifiche, che possano mettere l’uomo in una zona di comfort il più sicura e serena possibile. Tutto è controllato, tutto è sistemato al posto giusto. Il subconscio diventa una sorta di industria fordiana in cui ogni dipendente è il singolo ingranaggio essenziale per far funzionare al meglio la macchina mentale dell’individuo. Un lavoro standardizzato e in serie in cui non ci può essere un singolo margine di errore, ma che nel profondo porta al più grande dei pericoli: l’uomo diventa una macchina che non impara a sbagliare e se non può mai sbagliare, come può essere considerato un essere umano?
Il monopolismo di Gioia
Riley è nelle prime battute del film perennemente felice della propria esistenza, non ha alcun tipo di remora o rimorso, nessun trauma, nessun cambiamento radicale. L’unica emozione che la pervade è Gioia, il capo indiscusso di questa azienda logistica dei ricordi, che tiene sotto scacco i propri dipendenti pur di far sentire la “figlia” Riley contenta di vivere. A farne le spese sono le altre colleghe, le emozioni “negative”: Paura, Rabbia, Disgusto, ma soprattutto Tristezza, la più emarginata di tutte e mai coinvolta veramente nel progetto mentale della protagonista. Agli occhi di Gioia e delle altre emozioni, Tristezza è il virus del pensiero umano, che non deve mai entrare in contatto con i ricordi di Riley e non compromettere di conseguenza la sua personalità.
L’essere umano può avere una personalità a senso unico?
Non è possibile essere unilaterali nelle nostre decisioni ed emozioni, non siamo degli automi. Mi piace pensare alla complessità dell’uomo, alla perfezione della sua imperfezione, alla moltitudine di pensieri che accavallano la sua mente, portandolo continuamente da un sentimento a un altro. Questo è l’essere umano. Solo alla fine di Inside Out ci rendiamo conto di quanto solo la Gioia non possa portare alla Gioia stessa dell’individuo, ma porta inevitabilmente a scontrarsi e a unirsi con la Tristezza, il suo più acerrimo nemico, e più in generale con tutte le altre emozioni. Pertanto l’idea che l’essere umano possa essere sempre felice è un falso mito: prima o poi scoprirete a non avere paura di emozionarvi (soprattutto dei sentimenti ad accezione negativa). Nel film Riley lo ha accettato, ha scoperto il lato negativo dell’esistenza umana e ha imparato a conviverci. Ma non preoccupatevi: un giorno lo avrete anche voi.
