Un Kammerspiel contemporaneo divertente, psicologico e intimista, che porta lo spettatore a riflettere su tematiche fortemente stringenti, contemporanee, e con un finale sorprendente. The Joyce Audition è uno spettacolo per gli occhi, capace di essere coinvolgente ed empatico durante tutti gli atti drammaturgici, pur essendo dalla sua una rappresentazione senza caricature e sovrabbondanze a livello recitativo e di messa in scena: basta rimanere semplici per essere veri e sinceri. Lo spettacolo diretto e scritto dal regista Riccardo Mini e con un trio attoriale d’eccezione composto da Angelica Cacciapaglia, Stefania Lo Russo e Mario Migliucci, è andato in scena al Teatro Lo Spazio di Roma il 29 e 30 ottobre, e noi della redazione Soggettiva siamo andati ad assistere allo spettacolo, rimanendo piacevolmente colpiti sotto tutti i punti di vista.

L’Italia, un paese senza talento
I due protagonisti dell’opera sono una giovane coppia di attori “in fuga” dall’Italia per cercare successo a Londra come attori. La loro intenzione è quella di sbarcare il lunario che nel Belpaese è cosa ormai impossibile da raggiungere: il talento non viene riconosciuto in Italia, ma solamente sprecato. La fuga dei due personaggi dalla penisola italiana è pertanto “necessaria”, non intenzionale: ne viene fuori un ritratto dissacrante ma lucido delle condizioni in cui purtroppo versa il nostro Paese, soprattutto a livello artistico, da sempre uno degli elementi che ci contraddistingue maggiormente rispetto al resto del mondo. L’arte è morta in Italia, facendo spazio agli interessi più apparentemente frivoli, come guardare la partita dei Mondiali Italia-Uruguay.
Una coppia che scoppia
The Joyce Audition mette in luce anche i rapporti di coppia, tra attrazioni, tradimenti, confessioni e gelosie, evidenziando sin dalle prime battute una crisi latente che perdura da troppo tempo e in cui manca la comunicazione. Sembra infatti che i due protagonisti della pièce sopravvivano esclusivamente per non restare soli, per non restare degli “esuli” in balia di se stessi. La grande recitazione degli attori rende perfettamente l’idea di estraneità che pervade la coppia, attraverso un gioco di sguardi, di (anti)seduzione, di discorsi basati sul doppio senso che li rendono, anche nei movimenti di scena, sempre più lontani e distaccati dai sentimenti che una volta provavano l’un l’altro. La fedeltà in senso tradizionale, in senso conservatore, non è loro prerogativa: non è obbligo, non è vincolo, ma è conseguenza delle scelte e delle azioni compiute dal rispettivo partner. Basta poco fondamentalmente per far cadere le certezze di questa coppia, come un intruso, una semplice receptionist, e il dado è tratto: la coppia scoppia.
Il teatro nel teatro
Il linguaggio scenico e narrativo di The Joyce Audition è improntato a rendere protagonista anche il mondo del teatro e infatti, già da subito, siamo catapultati all’interno di un provino teatrale dell’opera Exiles di James Joyce. La messa in scena è evidente nel sottolineare questo rimando al metateatro, dal momento che gli arredi, la scenografia e i costumi creano un ambiente intimistico, uno spazio “da camera” tipico del Kammerspiel, che non indaga solo la psicologia dei personaggi, ma la concezione stessa di teatro, di forma d’arte che valorizza il dialogo e la parola, elementi che all’interno della coppia non esistono, creando una sorta di “ossimoro”.
L’immortalità di James Joyce
La poetica di James Joyce sembrerebbe lontana dai nostri tempi, eppure l’abbiamo respirata durante tutto lo spettacolo: l’Exiles composto dallo scrittore irlandese (l’opera teatrale al quale i due protagonisti stanno provando a partecipare e che rispecchia narrativamente alla perfezione le dinamiche della coppia) diventa lo spunto per descrivere anche le sintomatologie della società attuale. Come teorizzato e vissuto dallo stesso Joyce (esiliato per sua stessa volontà dall’amata Irlanda), l’essere umano è sempre alla ricerca della propria identità, soprattutto nel caso in cui non si trovi “a casa sua”, ma straniero in un altro luogo. Lo sono ad hoc i due protagonisti dello spettacolo, emigrati a Londra per cercare successo e fama, ma soprattutto per ricercare un posto che possa dare valore alle loro esistenze, cosa che l’Italia fondamentalmente non ha mai dato. Ma anche in Inghilterra le cose non cambiano più di tanto, anzi, vengono estrapolate nuove incertezze e titubanze che non erano mai state colte prima. La ricerca di un’identità, a prescindere dal luogo, diventa materia oscura e misteriosa, che probabilmente non si potrà mai raggiungere: l’uomo contemporaneo, sempre più confacente e accondiscendente ai bisogni della massa, si perde e disperde all’interno di una società che non predilige l’individualità. Inoltre la stessa identità del singolo deve poggiare su dei punti di riferimento, che ai giovani soprattutto mancano, e che li rendono sempre meno individuali, e sempre più uguali agli altri. Forse la visione di Joyce è ancora più efficace ai giorni nostri rispetto ai tempi in cui ha vissuto.
