«Il canto è un modo di fuggire. É un altro mondo. Quando canto non sono più sulla Terra» (Édith Piaf)
Dal 26 settembre al 13 ottobre andrà in scena al Teatro Manzoni di Roma il nuovo spettacolo teatrale “Édith Piaf, l’usignolo non canta più”, diretto dal regista Daniele Salvo e scritto e interpretato da Melania Giglio, la quale vestirà i panni della cantautrice francese più famosa di tutti i tempi. Un dramma arricchito con canzoni eseguite dal vivo, che vuole esplorare la figura tormentata e avvizzita di Édith Piaf, pochi giorni prima il “grand retour” della cantante sul palco dell’Olympia, regalando al pubblico una straordinaria esibizione degna dei tempi più floridi dell’artista francese: “l’usignolo è tornato a cantare”.

Sinossi
É il 1960, ci troviamo nell’appartamento privato di Édith Piaf. La cantautrice francese sta vivendo un’esistenza a due facce: da una parte le gioie iniziali dei successi artistici e degli amori appassionati, dall’altra il dolore dei lutti, delle liti sentimentali, della solitudine e della conseguente dipendenza dall’alcol. Uno “spleen” che si ripercuote non solo nello spirito, ma anche a livello fisico, attraverso un’artrite che l’ha resa gobba e l’abuso di alcol e medicinali che l’hanno fatta diventare gonfia e senza capelli. La vita di Édith Piaf si sta sgretolando sotto i suoi piedi, in declino e dimenticata dal pubblico, e il mondo è caduto in un preoccupante silenzio: non si sente più risuonare la voce dell’usignolo. Ma per la cantante si presenta l’occasione di un riscatto. É Bruno Coquatrix, l’impresario dell’Olympia, che vuole riportare l’artista sul palco che l’ha fatta diventare la più grande “chanteuse” di sempre.
Regia, cast e comparto tecnico
A dirigere questo intenso dramma teatrale il regista Daniele Salvo, con il compito di mettere in scena, con umiltà e rispetto, il riscatto di una artista/donna ormai sulla via del tramonto, entrando nel profondo di un’anima scissa e senza più la volontà di continuare a vivere. L’ispirazione del regista trae riferimento da un testo inedito, scritto da Melania Giglio, qui in questo spettacolo nel doppio ruolo di drammaturga e attrice protagonista. L’interprete sarà chiamata a donare un’immagine a due volti della cantante d’oltralpe: malinconica e sognante allo stesso tempo, grazie soprattutto alle numerose esibizioni canore che l’attrice ci regalerà durante la rappresentazione, un’occasione per il pubblico di ascoltare alcuni dei pezzi più belli e struggenti della carriera di Édith Piaf (La Vie en Rose, Milord). Ad affiancare Melania Giglio sul palco l’attore Martino Duane, nel ruolo dell’impresario dell’Olympia Bruno Coquatrix. Scenografie di Fabiano di Marco e costumi di Giovanni Ciacci.
Perché vederlo?
La figura tormentata di Édith Piaf è stata oggetto di numerosi adattamenti teatrali, musicali e per il cinema, ma qui ci troviamo di fronte alla rappresentazione della cantante francese partendo innanzitutto da un testo inedito (quello scritto appunto da Melania Giglio), che racconta un momento circoscritto della sua vita fatta di alti e bassi: i giorni precedenti la sua esibizione sul palco dell’Olympia tra il 1960 e il 1961, momenti che segnano di fatto la “rinascita” dell’artista da una prigione fatta di ricordi. Una storia di riscatto sociale e personale dalle ceneri del declino fisico e spirituale, grazie al potere salvifico del canto melodico dell’usignolo, il vero protagonista del racconto: una voce sensibile e dalle mille sfaccettature, così come lo sono state le tappe dell’esistenza della cantante. Per il pubblico sarà l’occasione per entrare in contatto non solo con un aneddoto particolare della vita di Édith Piaf, e di vedere attraverso la presenza scenica di Melania Giglio quelle che erano le movenze e lo stile canoro dell’artista, ma soprattutto di capire l’interiorità della protagonista, grazie alla regia intimista e delicata di Daniele Salvo, sempre attento a focalizzarsi sull’aspetto più recondito dei personaggi in scena. Quello che viene fuori non è un semplice omaggio alla cantante francese più importante di sempre, ma la rappresentazione della sua vera anima, tutt’altro che “en rose”. Come tiene a sottolineare il regista Daniele Salvo: «Édith Piaf portava in sé questa scintilla, questa meravigliosa fiamma inesauribile e dolorosa. Vogliamo ricordarla con semplicità e nitidezza. Non vogliamo imitarne le movenze o copiarne l’esteriorità. Tentiamo invece di avvicinarci alla sua anima con levità mozartiana, di raggiungere il centro del suo petto per evocare per un istante, con attenzione e rispetto, il suo incredibile talento. Oggi più che mai, in questi anni vuoti di impulsi e necessità, abbiamo bisogno del suo calore, della sua luce, della potenza della sua voce e del battito del suo piccolo cuore che ancora oggi, anche se non è più, batte instancabile. E quel suo piccolo cuore non si fermerà mai».
