“Questo è il mio fucile. Ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio. Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Io debbo dominarlo come domino la mia vita. Senza di me il mio fucile non è niente; senza il mio fucile io sono niente. [“Preghiera” dei marines]
Non può esistere un soldato senza il proprio fucile. Si tratta di un vero e proprio atto di fede che pone l’uomo a credere nel valore dell’omicidio e della guerra, e alla scoperta di poter essere finalmente qualcuno all’interno della propria patria: un dispensatore di morte che prega per combattere. Diretto da Stanley Kubrick e massima esposizione di antimilitarismo, Full Metal Jacket festeggia 37 anni dal suo esordio nelle sale italiane, divenendo in poco tempo uno dei più grandi film della storia del cinema, soprattutto del genere war movie.

Trama
Un gruppo di aspiranti marines si prepara a partecipare alla guerra in Vietnam grazie all’addestramento feroce e anticonvenzionale del Sergente Hartman, sempre pronto a spronare i propri allievi a suon di insulti e minacce. Una volta terminato l’addestramento e giunti in territorio vietnamita, i giovani soldati desiderosi di combattere si renderanno conto dell’inutilità e della barbaria al quale hanno preso parte.
I nobili ideali della guerra
Chiunque si trovi nel beneamato corpo del Sergente Hartman vuole essere forgiato per un unico obiettivo: uccidere. L’idea insita a Full Metal Jacket è che gli Stati Uniti siano fondamentalmente un paese guerrafondaio, con l’intento di dimostrare la propria superpotenza a ogni costo e assoggettare le popolazioni ritenute inferiori. Per questo l’uomo “born in the USA” è nato per uccidere, perché solo così può dimostrare la sua superiorità. Ma la volontà assoluta di primeggiare e di esaltare la guerra ha portato gli Stati Uniti a combattere in Vietnam, a detta dello stesso popolo statunitense, un conflitto inutile e alla morte stessa del loro ideale superiore. Il conquistatore che diventa conquistato, l’uccisore che finisce per essere ucciso.
Il processo di creazione di un marines
L’addestramento del sergente Hartman, che copre tutta la prima parte del film, si configura come il perfetto manuale per creare il prototipo ideale di soldato, in cui non bastano le esercitazioni di tiro, le marce chilometriche o i percorsi di ginnastica. La cosa più importante è un’altra: l’indottrinamento dell’allievo per renderlo un killer, un’arma vivente, perché ciò che conta ai fini della guerra non è il perfezionamento fisico e tecnico del soldato, bensì il suo convincimento ideologico a credere che il suo scopo sia giustificato e nobile. Il processo di conversione operato dal sergente dei marines trasuda in ogni fase dell’addestramento: lo sposalizio del soldato con il proprio fucile, le filastrocche contro il comandante dei Vietcong, le continue vessazioni di Hartmann per minare l’autostima degli allievi, i discorsi sulla pericolosità del nemico e delle prodezze passate dei soldati statunitensi, la fede nella Vergine Maria per annientare il comunismo.
Palla di Lardo, figlio dell’innocenza perduta
Nonostante le buone intenzioni e la voglia di rendersi utile per la causa, l’allievo Palla di Lardo finisce per essere annientato dalla stessa ideologia che stava raggiungendo: capito il vero scopo di un soldato, votato esclusivamente alla violenza e alla sopraffazione, decide di spararsi in bocca con il suo fucile, anzi con la sua sposa Charlene, ponendo fine per sempre alla loro relazione. Palla di Lardo si è reso conto che i veri nemici da combattere sono al suo fianco, ossia i suoi compagni (che lo hanno colpito alle spalle), e soprattutto il Sergente, simbolo di prevaricazione che lo ha costantemente vessato e che lo ha portato a perdere ogni convinzione nel bene del prossimo.
Morte tua, vita mea
Le battute finali di Full Metal Jacket sono le più emblematiche nel rappresentare la futilità della guerra, alla quale tutti, bene o male, prendono parte. Un cecchino Vietcong sta facendo strage di marines dall’alto di un enorme palazzo diroccato. Una volta che i soldati statunitensi riescono a infiltrarsi all’interno del covo, scoprono con sorpresa che il famigerato cecchino è una giovanissima vietnamita. Ma in guerra non ci sono buoni o cattivi, nessuno viene risparmiato, nemmeno i bambini. Per questo il soldato Joker, a un passo dalla morte, uccide la ragazza, che si rivela essere la sua prima vittima in questo conflitto. Era un gesto necessario: se non l’avesse fatto, sarebbe morto lui, è così che funziona. Morte tua, vita mea.
